Mi è capitato in una sagra paesana, di quelle che si organizzano d’estate (magari occupando con i tendoni il campo sportivo parrocchiale) di avvicinarmi al banchetto dei libri usati e di essere attratto da un libretto “Einaudi Tascabili. Stile libero.” È incredibile come nel coacervo di libri dalle disparate dimensioni e dalle copertine policrome salti agli occhi un libretto modesto nelle proporzioni, tenue nei cromatismi. Brillava di luce propria come una pepita d’oro tra migliaia di sassi in un torrente. Il fatto è che “Einaudi Tascabili. Stile libero.” per noi, di una certa età, è friendly (nonostante l’età ho dismesso l’autarchico familiare); lo riconosciamo subito per il disegno di Pericoli in copertina o per l’inconfondibile costa color giallo o l’immancabile ellisse con inscritto il celebre struzzo ornato dal lungo nastro tra le cui volute si legge SPIRITUS DURISSIMA COQUIT. In quel banchetto di libri non figurava nessun Oscar Mondadori, sarebbe stato altrettanto friendly con la sua inconfondibile “O” con inscritta la nera silhouette della celebre statuetta. Ricordo che in una delle mie visite a casa sua, Luigi Meneghello mi mostrò molto compiaciuto l’edizione negli Oscar Mondadori di Libera nos a malo “È molto bello questo libretto, non trovi?” mi disse in un italiano perfetto ma “cantando” un po’, così come fanno i vicentini di origine dialettofona. Confesso che da quel giorno tutte le volte che mi è capitato in mano un Oscar ho avuto un approccio friendly cercando di dimenticare l’innominabile proprietà della casa editrice. Tornando al libretto della sagra paesana, che ho acquistato per il modico prezzo di un euro, si trattava di un autoritratto delle ragazze e dei ragazzi italiani tracciato con centinaia di lettere, racconti, poesie inviate dai ragazzi stessi ai due curatori Caliceti e Mozzi. Il libro è molto bello, ha una grande potenza emotiva, si tratta di una spudorata messa in scena dei sentimenti adolescenziali, ma anche di un’invettiva contro gli adulti, che spesso vira in un atteggiamento di indulgenza e pietas. Un’interessante lettura per genitori. Dalla pubblicazione di questo libro sono passati sedici anni e i ragazzi e le ragazze che lo hanno “scritto” ormai sono adulti. Mi chiedevo se gli adolescenti di oggi si riconoscerebbero ancora nell’autoritratto dei loro ex coetanei. Questa riflessione nasce dalla lettura della nota in limine dei curatori, in calce alle quale ci sono i ringraziamenti. Tra i vari ringraziamenti c’è questo: “Ringraziamo Marco Pantani che, mentre noi sudavamo sulle nostre scatole da scarpe, (utilizzate dai curatori come contenitori delle centinaia di lettere arrivate N.d.R.) vinceva splendidamente sull’Alpe d’Huez. Questo libro è dedicato a lui e a tutti i giovani ciclisti in salita.” Sono passati solo sedici anni, ma stiamo parlando di un’altra era. Pantani non c’è più, morto neanche sette anni dopo l’impresa dell’Alpe d’Huez nella stanza di un residence a Rimini per un overdose di cocaina. Ma soprattutto non c’è più quell’icona che faceva scrivere ai curatori: vinceva splendidamente sull’Alpe d’Huez e lo faceva diventare simbolo di tutti i giovani ciclisti in salita. Perché su quelle vittorie esaltanti si è allungata l’ombra del doping. È come se il tempo svelasse le illusioni, rendesse inservibili i miti. Quanto bella era l’immagine usata dai curatori tutti i giovani ciclisti in salita con la quale volevano rappresentare metaforicamente le ragazze e i ragazzi del libro, impegnati nella difficile salita dell’adolescenza? Un’immagine bella e fallace. Come la leggenda del Pirata.
G. Caliceti e G. Mozzi (a cura di), Quello che ho da dirvi. Autoritratto delle ragazze e dei ragazzi italiani, Einaudi, Torino, 1998.
Il libro in questione ci venne portato da Giulio Mozzi stesso in occasione di un incontro con l’autore a Marano tantissimi anni fa. E per tornare alla metafora usata dai curatori del libro forse (e sottolineo forse) l’allungarsi dell’ombra del doping sulle imprese del Pirata potrebbe anche non togliere nulla alle emozioni che tutti provammo in quella estate. Un po’ come quando pensi a te stesso ed ai tuoi anni giovanili, magari giudichi come immature, sbagliate le tue azioni dell’epoca ed eppure non puoi impedirti di considerarle una parte importante di te.
Sì, è vero quello che dici. La mia era una riflessione sul Tempo e su come cambiano le cose. Converrai che oggi non possiamo più servirci della Leggenda del Pirata, perché nella tela di quella rappresentazione è stato rinvenuto un punto fallato nella tessitura che ne ha pregiudicato integrità e valore. Cosa diversa sono le emozioni che suscitò in molti di noi in quella estate. Mi rivedo con la faccia a trenta centimetri dallo schermo televisivo (e dallo scintillante orecchino) urlargli all’orecchio “Panta Rei, Panta Rei” utilizzando come incitamento un assurdo aforisma che veniva da chissà quale pagina di filosofia letta male.
Il fatto che quelle emozioni possano essersi fondate su un presupposto falso però mi fa riflettere. Sulla realtà, sui media, sull’età e su come questa si porti dietro sempre una buona dose di ingenuità. Non è forse vero che oggi (più maturi e meno ingenui) guardiamo con ammirazione le imprese di Usain Bolt con una certa riserva mentale? Ma non volevo parlare di doping, ma dare conto del mio sentirmi sbalestrato nel leggere quel ringraziamento a piè di pagina. Forse ci può venire in aiuto proprio quell’assurdo incitamento che urlavo all’orecchio del Pirata: Panta Rei, tutto scorre, tutte le cose del mondo mutano.
Davvero gridasti “panta rei” a pochi centimetri dal tv? Sono chicche che giustificano da sole la lettura di questo blog 😀
Sì, un urlo reiterato ad ogni tornante, tutte le volte che il Pirata si issava sui pedali! D’altra parte hai a che fare con un tifoso dell’Inter, quindi persona priva di ogni razionalità.