Su “La Lettura” di ieri Beppe Severgnini fa un elogio della brevità. Ci racconta che da adolescente, a causa di un doloroso smacco subito a scuola, virò da una scrittura ampollosa e ricercata a una sintetica e rapida. Bolla come conservatori Serra, Gramellini, Franzen, perché hanno il torto di non riconoscere la straordinaria novità di Twitter. È andato a rileggersi Orazio e Tacito per scoprire che erano dei cinguettatori ante-litteram. Severgnini ci confessa che le sue strategie seduttive passavano attraverso i libri e che mai avrebbe proposto a una ragazza quell’opera ostica e poco conosciuta del Pasticciaccio. Avrebbe rischiato l’ostracismo, da parte della ragazza. Chissà se gli è andata meglio con Tacito e Orazio? E chiude il suo articolo con un panegirico su sms, mail, social network, contrazioni, “k” che scaccia il “ch”, sparizione della “i” afona (efficiente) per poi sentenziare: “Prolissità e complessità, spesso, sono sintomo di confusione e pavidità.” A me è venuto da ridere, perché il caporedattore avrebbe dovuto avvisarlo, il Severgnini, che proprio ne “La Lettura” di ieri, dove lui occupa due paginoni facendo l’apologia della brevità (anche di quella più nevrotica e insulsa della rete), ci sono due pagine deferenti di Paolo Giordano su David Foster Wallace autore di Infinite Jest, capolavoro della letteratura contemporanea che misura oltre 1200 pagine (alla faccia della brevità!) E poi se restiamo in ambito letterario questo argomento sulla scrittura breve è stato trattato più volte; Calvino scriveva che “la vera vocazione della letteratura italiana si riconosce più nello scrivere breve che nello scrivere lungo” e faceva l’elogio di Borges quale maestro dello scrivere breve, capace di porre la massima concentrazione di significati nella brevità dei suoi testi. Cosa diversa è la velocità nella rete, dove sembra che la brevità delle frasi voglia simulare la rapidità con cui le stesse si spostano nel cyberspazio. Ricordo che quando i computer funzionavano con il sistema operativo MS-DOS chi digitava i vari comandi dalla tastiera lo faceva in maniera frenetica, picchiando velocemente sui tasti come fosse in competizione con la rapidità di elaborazione del pc. E poi per essere ancora più immediati e sintetici sono apparse le faccine, le emoticon che sono delle micro metafore grafiche. Sorrido, 🙂 faccio uno sberleffo 😛 , strabuzzo gli occhi °-° , sono triste 🙁 . Metto così in mostra i miei sentimenti, ma è una specie di surfing sulla superficie dei sentimenti, senza andare in profondità. Nel 2005, quando il fenomeno degli short message non era ancora così parossistico, chiesi a Luigi Meneghello che cosa ne pensava del linguaggio telegrafico e delle contrazioni negli sms. Questa fu la risposta: “Ne so troppo poco, ma quel poco che ho visto non mi piace. Non mi piace proprio niente. Cosa vuoi, nasceranno forme di sensibilità e anche di poesia legate a questo modo di esprimersi, ma per il momento mi pare che non ci siano e a me non piace proprio niente. Ma ne so troppo poco per dire qualcosa di autorevole.” 🙂
3 pensieri su “Emoticon, il surf sui sentimenti.”
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Credo sia il post più lungo che hai pubblicato. :-).
Prediligo anche io una scrittura sintetica e rapida ma credo che, ritornando a Calvino, ovviamente, la letteratura si dovrebbe riconosce più nello scrivere breve che nello scrivere lungo o corto.
😉
L’emoticon ha qualcosa di tribale, un ritorno alla pre-scrittura. Ai simboli. Non so se sia un bene o un male di certo rende immediato uno stato d’animo quindi taglia fuori la scrittura a favore di un simbolo. Per quanto mi riguarda sono vittima della frenesia, anche letteraria, tanto che non riesco più a gustarmi i romanzi dell’Ottocento come vorrei. Non si tratta di quantità(delle pagine) ma di lunghezza dei periodo. Prediligo le frasi corte, semplici. Se posso, consiglio Mattatoio numero 5, non è un libro pubblicato oggi, eppure è ciò che intendo. Ovviamente de gustibus 🙂
Addirittura? Le emoticon ti rimandano al tribale? Vorresti dire che un profilo sui social network o una mail scritta con la tastiera iconografica dell’ iPad fa impallidire le grotte di Altamira con le loro pitture rupestri del Paleolitico superiore? Senti davvero il bisogno di rendere immediato uno stato d’animo? Hai così poca fiducia della parola parlata e scritta? Penso si tratti di un problema di profondità e superficie. Non so, forse tu non ci hai mai giocato, in quanto ragazza, ma noi maschi (a Venezia) lanciavamo una pietra piatta e sottile violentemente con una traiettoria quasi parallela alla superficie dell’acqua. La pietra così lanciata rimbalzava sul pelo dell’acqua più volte e finiva lontano che quasi non si avvertiva il pluff dell’ultimo breve salto. Sembrava una sfida alle leggi della fisica, un miracolo che la pesante pietra accarezzasse la superficie dell’acqua e non affondasse al primo contatto con essa. Quando si sbagliava inclinazione del lancio si sentiva un sordo pluff e la pietra si inabissava nel canale, magari schizzando chi stava vicino alla riva.
Ecco, a me pare che le emoticon siano come quelle pietre lanciate con grande perizia, arrivano lontano, ma stanno in superficie, sfuggono all’abisso, vivono l’entusiasmo della performance. Ti confesso che a me affascina di più la pietra che affonda, è più coerente con la sua identità, con il suo essere pietra pe(n)sante. Siamo sicuri che si tratti soltanto di gusto?