Il racconto Sentimenti decisivi di Roberto Ferrucci è un sequel ( forse è più appropriato un midquel) di Sentiments subversifs/Sentimenti sovversivi, romanzo bilingue pubblicato in Francia nel 2010. Perché dico che è un sequel del romanzo? Innanzitutto ce l’ha detto Ferrucci l’altra sera, quando ci ha raccontato che il suo racconto, assieme ad altri, è stato scritto per celebrare il trentennale della cave di Jean-Luc, personaggio già incontrato nel romanzo (personaggio velleitario nella pretesa di tirar giù a colpi di fionda, dal quinto piano del building, la base sottomarina in cemento armato). Ma si tratta di un sequel perché quel gesto di Teresa – il fondo della bottiglia appoggiato all’indice sinistro e il destro sul tappo, equilibrio perfetto – è stato espunto dalla sezione Gesti del taccuino rinvenuto ai piedi del sedile posteriore della Ka di Teresa (pag. 138). Insomma è un continuo rimando al romanzo ai suoi temi, ai suoi personaggi.
Nella quarta di copertina del romanzo si leggono queste righe: “Avrei voluto scrivere una storia d’amore, quando ho iniziato questo libro, la prima volta che sono arrivato qui, ma oggi è impossibile, credo, per uno scrittore italiano, riuscire ad astrarsi dal senso di repulsione, da quella volgarità diffusa che, oggi, è il biglietto da visita del mio paese”.
E non ce l’ha fatta neppure questa volta a scrivere “solo” una storia d’amore. Ce l’ha appioppata l’intemerata anti-berlusconiana con tanto di zainetto Hello Kitty, completino Dolce & Gabbana e un improbabile provino per il Grande Fratello nel lontano 2030. Ha avuto poca fiducia nel lettore, ha temuto che non capisse il perché di quella auspicata doppia cittadinanza di Adele, di quell’ espatrio pre-natale. Ha rinunciato a una narrazione allusiva, simbolica, per una scrittura a grado-zero. Con anche qualche luogo comune. Il racconto Sentimenti decisivi è dedicato ad Antonio Tabucchi, un grande scrittore, di cui abbiamo ammirato la coscienza civica e militante con cui ha denunciato la volgarità della classe politica che ci ha governato negli ultimi anni. Ferrucci in questo è un epigone di Tabucchi, ma una cosa è denunciare con un articolo di giornale, con un’intervista televisiva, un’altra affrontare la questione su un côté narrativo.
Ciò che colpiva era l’insensatezza della proposta. Stavo lì a osservare inebetito il foglio di carta. Un momento… voi non sapete niente del foglio, vero? Rimediamo subito. Al protagonista di questa micro storia avanzava un foglio (per sua stessa ammissione). Già questo è di difficile comprensione. Cosa significa avanzare un foglio? Fingiamo, per un attimo, di non sapere che il protagonista è aduso scrivere le sue storie utilizzando quei marchingegni elettronici che gli consentono (per sua stessa ammissione) di accarezzare le parole e ipotizziamo che per scrivere Sentimenti decisivi si sia dotato di un esiguo numero di fogli. Arrivato alla fine del breve racconto, gliene avanzavano due, di fogli. Se fosse stato un unico foglio non sarebbe stato un problema. Con un po’ di mestiere (che al Nostro certo non manca) diluiva il testo, aggiungeva una tirata socio-politica sull’omologante consumismo fatto di completini Dolce & Gabbana e zainetti Hello Kitty, un accenno al Grande Fratello e il gioco era fatto. I fogli però erano due, e quindi, ecco da dove arrivava quel foglio avanzato. Rimetterlo impilato nella risma di fogli da cui lo aveva prelevato? Non avrebbe mai potuto allinearsi perfettamente con gli altri fogli. Leggermente sgualcito si sarebbe sollevato agli angoli, avrebbe smarginato sul lato lungo o sul corto come un soldatino indisciplinato in un plotone in parata. Meglio utilizzarlo quel foglio, buttarci giù qualche segno, qualche parola pur nella piena consapevolezza della vacuità del momento. “Ma/poi-non/so” erano le parole, più due segni quasi simmetrici longitudinali al foglio. Il tratto appariva deciso come di chi sa esattamente cosa sta facendo, ma le parole sembravano contraddire tanta certezza. La congiunzione avversativa all’inizio indicava perplessità, seguita dall’avverbio di tempo che sembrava procrastinare la decisione. E, per finire, la candida ammissione di non sapere. Quello che si palesava era un evidente stato confusionale; una richiesta d’aiuto; come lui si fosse sottoposto a un test psicologico e ci chiedesse di interpretarlo. Ma, poi, non so, mi pare che in quel foglio, così indecifrabile, trasparisse una grande fiducia nella parola scritta. La convinzione che anche un solo grafema può generare suggestioni.
Stare davanti al computer e digitare sulla tastiera o scrivere con la penna sul foglio di carta. Essenzialità di un gesto. Come tenere il fondo della bottiglia appoggiato all’indice sinistro, e il destro sul tappo. Equilibrio perfetto.