Leggo oggi su “Domenica” de “Il Sole 24 ore” che Max Frisch annotava sul suo Frammenti di un terzo diario: “Ho davvero qualcosa da dire?”.
Avere qualcosa da dire in fondo potrebbe essere la risposta dirimente alla domanda che ci siamo posti nell’ articolo precedente “Perché scrivi?”. Orientare il dubbio dal perché si scrive all’avere o non avere materia per scrivere. E percepire la scrittura inadeguata.
Continuo a leggere l’articolo di Bajani che cita Frisch: “Che cosa può, la scrittura, di fronte a un mondo che si spacca, che si sbriciola, che è a rischio di autodistruzione, se non organizzarsi in frammenti?” Scrive Bajani che Frisch di fronte a una frantumazione divenuta parossistica risponde opponendo sì una forma, ma che non è più in grado di governare nulla:
“La scrittura come legittima difesa contro l’esperienza dell’impotenza. Se ci riesce anche solo la forma di un’unica frase quanto poco ci tocca ciò che di enorme e informe ci cova nell’anima e ci minaccia all’intorno! Riusciamo a sopportare il mondo, perfino quello reale, a gettare uno sguardo nella sua follia; vi riusciamo nella folle speranza che il caos si lasci ordinare, si lasci comporre come una frase, e la forma, ovunque la si realizzi, ha una virtù di consolarci che non ha uguali”. Frisch assegna una funzione con-solatoria alla scrittura, scrivere per non sentirsi soli, gettati nel caos del mondo, e Bajani chiude il suo articolo su Frisch così:
“Stiamo lì, piegati, fetali per difesa e non più per nascita, difendendo le parti più fragili, e poi mandando messaggi di poche lettere, di pochi caratteri, con la consolazione illusoria di esserci riparati dentro a una parola come dentro a un portone quando fuori infuria la bufera”.
P.S.
Incastonato dal menabò all’interno dell’articolo di Bajani c’è un trafiletto che dà notizia di un’iniziativa editoriale. Una nuova collana ebook Laurana Reloaded dedicata al recupero della migliore narrativa italiana comparsa tra gli anni ’90 e i 2000. I primi tre saranno: Forme d’onda di Dario Voltolini (1996), Il mostro di Vigevano di Piersandro Pallavicini (1999), Sono l’ultimo a scendere di Giulio Mozzi (2009).